Viviamo in un tempo che pare segnato dal viaggio: continuamente milioni di persone si spostano con vari mezzi di trasporto e di comunicazione. Sono viaggi diversissimi, che nascono da spinte molto differenti tra loro: si viaggia per lavorare, per turismo, per studiare, per fare affari, si viaggia per conoscere e scoprire, per avventurarsi e misurarsi, per raccogliersi e ritrovarsi, si viaggia per cercare vita, speranza, pace, per fuggire violenza e fame.
Quanti uomini e donne in viaggio e quanti modelli di viaggio diversi!
Il viaggio dei turisti, dei passeggeri è un viaggio nel conosciuto, senza scoperta vera, ben organizzato. Si incontrano le sensazioni che si cercano. Il viaggio degli esploratori (“le avventure nel mondo”) è un viaggio di conquista; prove, resistenza e abilità portano alla meta, di pochi. Il viaggio dei nomadi e dei viandanti è molto diverso: importante è il cammino, l’incontro con lo sconosciuto, e con sé, il ritmo, la ricerca. Un po’ come per i pellegrini e il loro “trafficare” con il Mistero.
Oggi si sono imposte le immagini e le storie dei viaggi dei profughi: dei barconi nei flutti, o delle lunghe colonne umane contenute dalle reti, o dei campi polverosi e grandi in Africa o nel Medioriente martoriato.
Ma tra noi, nelle pieghe in ombra delle nostre città, non mancano i viaggi della dissipazione della vita, del correre e correre sulla linea del nulla, del rischiare continuo, del viaggio che lascia la presa e non prova relazione e racconto.
L’esperienza del viaggio non è univoca, non è scontata.

Si può viaggiare restando sempre chiusi presso di sé e si può vivere il viaggio come incontro, da ospiti, attenti a ciò che si offre. Si può viaggiare un poco alla conquista di mete ed emozioni e si può vivere del viaggio il cammino, la densità dei giorni e delle relazioni, la riflessione e la novità che si apre, quel che cambia nel sentire. In mondi altri e nell’avventura dell’umano che ci è comune.
In qualche modo il viaggio può essere il tentativo di far ruotare il mondo attorno a noi (e allora… ci fotografiamo dappertutto!) oppure può essere un po’ la continuazione della nascita, con noi esposti al mondo e nelle condizioni di nascere col mondo ogni volta che ne facevamo una nuova esperienza. Ospitali e ospitati. Tenendo, al cuore del viaggio, l’incontro! È l’incontro che fa nascere, di nuovo. Che fa respirare più ampiamente, che apre gli sguardi e le menti (che cercherebbero solo conferme e sicurezza di percorsi sotto controllo), che matura le emozioni in capacità di sentire in profondità.

Ci sono vite che sembra non si diano proprio come viaggio. Pensiamo alle persone con disabilità gravi: nella fatica dei gesti quotidiani, molti vedono solo la difficoltà di aprirsi al viaggio, di vedersi nel cammino, nelle esperienze, negli incontri.
Eppure chi vive con loro o con loro lavora, è spesso testimone di come, scandendo in passi adeguati i viaggi, accendendo il desiderio e puntando su buoni incontri (e non su avventure e competizioni), essi possano vivere ed accompagnarci in viaggi nei quali si creano inediti scenari, organizzazioni concrete non scontate, sguardi e prospettive sulle cose e le persone sorprendenti. Sì, il viaggio ha al cuore il desiderio, insieme al limite. Viaggiare con altri li fa vivere insieme.
Anche l’età anziana, con le sue debolezze a volte grandi, pare una condizione di vita che non si dà come viaggio. Si pensa che il viaggio sia giovinezza, sogno, futuro. Eppure la vita anziana, con il suo lungo cammino, spesso fa cogliere bene come nel viaggio non sia tanto importante il compimento (la meta, la conquista) quanto piuttosto quel che cogli di te stesso, della bellezza delle cose e della preziosità delle persone. Quel che ti è venuto incontro, magari inaspettato. C’era una promessa buona, colta nel viaggio!
L’incontro tra i sogni del passato e i sogni del futuro fa capire che le incompiutezze dei viaggi non sono fallimenti, quando restano come attese, come lasciti e buone consegne.

Ci sono anche vite che non possono sottrarsi al viaggio, che vi sono come costrette. Lo erano le vite dei migranti dalla nostra Italia nell’Europa o nelle Americhe in cerca d’un po’ di futuro per figli e figlie. Anche a costo di grandi sacrifici e di prove non facili.
Lo sono le vite dei migranti e dei profughi di questi nostri anni, di questo mondo solcato da guerre, ineguaglianza e povertà e, pure, ricco di possibilità, saperi e mezzi nuovi. Come fossimo in un viaggio che non trova orientamento, senso. Promessa. Perché un viaggio ha bisogno di Promessa.
Ma ci sono anche vite fragili e provate, segnate da fratture, da solitudini, da fallimenti che non possono che aggrapparsi alla possibilità d’un cammino nuovo, alla speranza che il viaggio riprenda. Come un nuovo inizio. Quei viaggi potranno e possono cominciare e sostenersi solo con buoni compagni di viaggi. Che vegliano e fan sentire la speranza. “Facendo” buoni racconti, sì, facendo non dicendo buoni racconti di viaggio. Ce n’è nelle nostre comunità, nei nostri territori, nelle diverse realtà d’Italia, e d’Europa. Anche nel mondo, con prossimità e cooperazioni tessute anche qui. Quando si è un po’ partecipi a questi viaggi si vedono nascere cose nuove. Nel viaggio è importante quel che nasce.

Per sapere viaggiare bisogna apprendere tre arti: l’arte del partire, l’arte dello stare nel viaggio, l’arte del tornare.
Partire è lasciare, esporsi, iniziare, anche un poco fuori da protezioni e assicurazioni. È vivere un distacco e approdare a un nuovo legame: prepararsi a ricomprendere in un orizzonte più ampio ciò da cui stiamo prendendo distanza. Partire è aspettare e aspettarsi ascoltare e prestare attenzione, aprirsi, attendere, affrontare, accogliere …
Stare nel viaggio è ripensare scansioni, curare le relazioni con i compagni di viaggio, raccogliere, riflettere, riprogettare.
Il viaggio è anche un luogo pieno di vuoto accolto, di inedito, di chiamata. Devi un poco lasciarti nel viaggio!
Tornare è sapere sostare presso di sé e con altri, è riflettere e ripensare alle radici, e agli orizzonti che si sono aperti. Tornare è farsi testimoni di un cambiamento, far tesoro degli incontri, prepararsi a riconsegnare. Tornare è raccontare.

Educare al viaggio in questo nostro tempo, che sempre più pare essere tempo d’esodo, chiede di accompagnarsi a maturare competenze particolari per la vita. Che hanno certo il carattere della cura di sé, ma che si disegnano nell’intreccio di storie e di gesti, pratiche ed esperienze d’incontro tra donne e uomini capaci e vulnerabili. Competenze per la vita che possono portare a cogliere e ad attraversare soglie preziose proprio grazie alla fragilità che è in noi e che ora è svelata.
La prima è la competenza del “trafficare” con la propria vulnerabilità, incontrata e accolta. Questa competenza permette di riorganizzare le condizioni di vincolo e di possibilità nella vita personale e sociale, coltivando l’equilibrio affettivo e la tenuta psicologica che sono necessarie e praticando un pensiero strategico.
Questa competenza ne richiama altre: ad esempio quella della cura della dimensione simbolica, e non solo progettuale, dei gesti nei quali si esprimono visione e consegna, indicazione e testimonianza. Vivere nel segno del diminuire e del declinare chiede e può sostenere, inoltre, la capacità di non oscillare tra libertà immaginaria e abbassamento dell’orizzonte delle attese: può abilitare a tenere il sogno dentro la realtà. Un sogno ad occhi aperti che coglie il valore proprio, la bellezza e il sogno della realtà: che coglie l’attesa che la realtà (le cose, offerte e le persone incontrate) rivela ed indica. Attesa di rispetto, di coltivazione, di incontro, di dialogo, di attenzione.
Donne e uomini fragili, malati, segnati e pur aperti al faticoso nascere di nuovo, possono esprimere della cura delle relazioni, delle alleanze, dell’organizzarsi la competenza di stare nel viaggio. Per camminare con e tra altri, per non perdere l’orientamento. E possono trovare le competenze per vivere “salti di piano”, ridislocandosi nello spazio e nel tempo, acquisendo percezione del sé che cambia in relazione ad un contesto di vita, che a sua volta si trasforma e viene trasformato.
Tutto questo può affinare il sentire, il sentirsi lì presso dove si prova a vivere, dove si resiste, dove si inizia di nuovo: per dedizione, per sintonia. Preziosa competenza per la vita (preziosa indicazione e consegna ad altri) si esprime nel lavoro riflessivo su di sé, sui propri vissuti, sulle emozioni e sui sentimenti. Per capire, per sapere cosa farne, per dare buona destinazione ai moventi interiori, per farne energia generativa nell’incontro e nell’azione con altri; per altri.
L’avere una storia segnata da un declino, da debolezze irriducibili, può sostenere una capacità narrativa: farsi testimoni del proprio cambiamento dà, anche a sé stessi, il segno delle svolte e dei momenti nascenti, delle perdite e delle rese; delle fioriture, dei legami, della libertà e dei lasciti.
Ci sono, poi, competenze per la vita che sono acquisizioni dalle relazioni, che si danno se condivise, nate tra noi e altri. Come la competenza della veglia, della danza della veglia reciproca: in responsabilità e affidabilità, nel gioco di sguardi accolti e promessi come buoni. Come cura sollecita e non come presa sull’altro (anche se piena di volontà di fare il bene) o come controllo. Non c’è promessa, in questa veglia, dell’assicurazione totale e del sostegno certo e forte; non chiede delega a chi può garantire custodia e risoluzione.
È una competenza mite e delicata che nasce dall’«incontro tra soli», come annota Julia Kristeva o «tra poveri» come le risponde Jean Vanier. Capaci di fidarsi ed esporsi, di essere promessa senza altre certezze che la parola data. Magari quella silenziosa: non ti abbandonerò.
La promessa può emergere anche dalle forme incerte, e a volte indistinte, della debolezza e della fragilità, può germinare, e poi trovare fiore e frutto, nella trama di relazioni attente, fedeli e creative.
Dentro le trame del dono, dell’offerta e del perdono le persone apprendono, insieme, a sapere che farsene della propria impotenza. E lì, dove persone fragilissime rischiano l’annullamento di ogni possibilità narrativa, proprio lì si possono tessere trame di veglia e ricerche concrete che possono portare a dire: «Credo di potere, posso provare a potere»; anzi, «devo provare a potere perché tu ci sei».

 
Esci Home