ESODO
Il libro della Genesi si chiude con l’arrivo della famiglia di Giacobbe in Egitto. Li aveva preceduti in modo rocambolesco (o provvidenziale – a seconda del punto di vista da cui si guarda la vicenda) Giuseppe, venduto dai suoi fratelli invidiosi dei privilegi a lui concessi dal padre. Insidiatisi nella regione di Gosen, i discendenti di Giacobbe diventano un popolo molto numerosi, al punto che gli Egiziani temono di essere in pericolo. I lavori forzati imposti agli Israeliti mettono a dura prova la condizione del popolo che innalza a Dio il proprio grido. E il Signore si fa attento e decide di intervenire, manifestandosi nel deserto del Sinai a Mosè, la cui vicenda merita di essere brevemente ricordata.
Figlio di Ebrei, sarebbe stato destinato a morire nel fiume Nilo, come tutti i neonati di sesso maschile, se la madre non lo avesse nascosto permettendo così che la figlia del faraone lo trovasse e lo allevasse come un figlio. Divenuto adulto, Mosè cerca di intervenire a favore dei suoi fratelli ebrei, ma il suo essere cresciuto a corte lo rende particolarmente ostile agli stessi che lo cacciano. Quando Dio lo chiama nel famoso episodio del “roveto ardente”, Mosè è un esule, fallito, orfano due volte, perché rigettato dai suoi antenati di sangue, gli Ebrei, e ormai inviso anche ai suoi parenti adottivi, gli Egiziani. Inoltre è anche balbuziente, ma Dio nella sua sconfinata provvidenza e ironia ha voluto proprio lui per liberare il suo popolo.
Rientrato riluttante in Egitto, Mosè deve convincere gli Egiziani a lasciare partire il popolo e gli Ebrei a seguirlo. Sarà necessario un intervento prodigioso di Dio che, mandando sull’Egitto dieci piaghe, fiaccherà lentamente la resistenza del faraone e permetterà che il popolo parta. Ma fatte poche miglia in direzione est, la visione del mar Rosso metterà in scena quello che rappresenta il vero leit motiv dell’esodo: il popolo si lamenta con Dio attraverso Mosè per un viaggio alla fine non desiderato né scelto, che verrà messo in discussione continuamente.
Non mancheranno in tutto il viaggio prodigi e segni da parte di Dio: il mar Rosso viene aperto e il popolo lo può attraversare; dal cielo cadono prima la manna e poi anche le quaglie per saziare la fame degli Israeliti; dalla roccia sgorga miracolosamente acqua per saziare la sete; una colonna di nubi o di fuoco accompagna giornalmente il cammino nel deserto. Ma il prodigio più grande è il fatto che Dio stesso parli faccia a faccia con Mosè e consegni attraverso di lui al popolo le Leggi su cui fondare una vita libera e felice nel Paese in cui stanno per entrare.
Puntualmente, però, a ogni gesto di misericordia gratuita da parte di Dio, risponde la protesta e la ribellione degli Israeliti. Anche la pazienza di Dio è messa a dura prova fino al punto di pentirsi di aver liberato il popolo dalla schiavitù. Sarà allora importante il gesto di Mosè di intercedere per gli Israeliti, giungendo quasi a ricordare a Dio il suo originale progetto di bene. L’esito di questa continua ribellione e durezza di cuore del popolo è però che nessuno degli adulti usciti dall’Egitto potrà entrare nella Terra promessa, a eccezione dei soli Caleb e Giosuè (cfr. Nm 14,29ss.), che prenderà il posto di Mosè, morto in vista della Palestina.
Il cammino dell’esodo fonda dunque l’identità del popolo di Israele, quasi in una sorta di noviziato o periodo di fidanzamento a cui ogni epoca successiva della sua storia farà spontaneamente riferimento. Per esprimere l’ardente desiderio di Dio di fare pace con il popolo idolatra, il profeta Osea rievocherà gli anni del deserto come anni di corteggiamento: «Dice il Signore: “Io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. […] Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto”» (Os 2,16.18). E Geremia darà speranza al popolo esule a Babilonia affermando: «Verranno giorni nei quali non si dirà più: “Per la vita del Signore che ha fatto uscire gli Israeliti dalla terra d’Egitto!”, ma piuttosto: “Per la vita del Signore che ha fatto uscire gli Israeliti dalla terra del settentrione e da tutte le regioni dove li aveva dispersi!”. E io li ricondurrò nella loro terra che avevo concesso ai loro padri» (Ger 16,14ss.).
Nell’“esodo” il popolo di Israele ha viaggiato, ha percorso molti chilometri ed è giunto in una terra nuova; l’impressione è che manchi però un viaggio interiore. I quarant’anni vissuti nel deserto non hanno guarito una sorta di indisponibilità di fondo a credere nella bontà di Dio. Tale incapacità di fidarsi riemergerà in ogni capitolo della storia successiva, dalla conquista armata della Terra promessa alla vicenda della monarchia, dall’epoca dei grandi profeti fino all’esilio a Babilonia, accompagnando Israele fino all’avvento di Gesù, il quale proporrà un nuovo tipo di esodo.