Non possiamo pensare alla figura di Saulo di Tarso senza vederlo in viaggio. Fin dall’episodio dell’incontro con Gesù sulla via di Damasco, gli Atti degli apostoli ce lo presentano in movimento. Colui che aveva approvato la prima uccisione di un seguace di Gesù (Stefano – cfr. At 8,1), si presenta al sommo sacerdote «spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore» (At 9,1), per ottenere il permesso di recarsi a Damasco alla ricerca dei cristiani. C’è una sorta di inquietudine che accompagna il suo itinerario interiore e che non lo abbandona neppure di fronte alla chiamata.

Riconosciuto in Gesù di Nàzaret il Messia atteso dagli Ebrei, il suo unico desiderio diventa quindi quello di annunciare a tutti quanto ha scoperto. Tuttavia, fin dall’episodio della sua vocazione, appare chiaro come il Signore voglia sfruttare il carattere ardimentoso di Saulo: lui che appariva così padrone della sua vita, diviene cieco e deve essere accompagnato per mano in città, e deve ricevere il battesimo (e nuovamente la vista) per mano di un atterrito discepolo di nome Anania. Per uno abituato a decidere della propria esistenza, deve essere costato di più attendere tre giorni per riavere la vista, che le corse su e giù per la Palestina alla ricerca dei cristiani.

Confrontando il resoconto lucano degli Atti con i racconti autobiografici presenti nelle lettere, l’itinerario geografico e umano di Paolo è caratterizzato da un alternarsi di successi e fallimenti, di progressioni repentine e di rallentamenti scoraggianti. Dopo essere stato accolto con fatica dalla comunità dei credenti a Gerusalemme, non convinti del suo reale cambiamento di vita, si ritira ad Antiochia dove riceve l’incarico, con l’amico Barnaba, di andare a predicare il Vangelo ai pagani. Intraprende così il primo dei suoi tre viaggi missionari, grazie ai quali il racconto della vicenda di Gesù raggiungerà anche il continente europeo.

Durante questo primo viaggio nel territorio dell’attuale Turchia, l’annuncio di Paolo è accolto più dai pagani che dai giudei, convincendolo del fatto che la “Buona notizia” di Gesù sia da annunciare a tutti gli uomini e donne, senza distinzione di razza o religione. Questa intuizione è fondamentale per la missione stessa della Chiesa, ma incontra da subito sia la resistenza dei giudei, che tentano di lapidare Paolo (cfr. At 14,19), sia degli stessi giudeo-cristiani, che convocheranno a Gerusalemme un concilio per dirimere la questione (cfr. At 15).

Il viaggiare di Paolo è tutt’altro che lineare e non è assolutamente nelle mani di Paolo stesso. È quanto emerge con chiarezza nel secondo viaggio, durante il quale una visione suggerirà a lui e Timoteo di passare in Macedonia, cioè di sbarcare sul continente europeo. Proprio in Grecia, però, il dotto Paolo incontrerà il rifiuto sprezzante di sapienti ateniesi a cui aveva cercato di annunciare Gesù Cristo ricorrendo alle sue brillanti capacità oratorie (cfr. At 17). Ma proprio mentre lo sconforto minava il suo entusiasmo, con un’altra visione il Signore indicava nella gaudente città di Corinto un luogo fecondo per l’annuncio del Vangelo (cfr. At 18,9).

Anche nel terzo e ultimo viaggio, Paolo sperimenterà quanto il suo desiderio di annunciare il Vangelo si scontri con la mancanza di forme concrete attraverso le quali realizzarlo. Di ciò diventa esplicitazione il discorso agli anziani di Efeso sulla spiaggia di Mileto: «Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio» (At 20,22-24). Paolo parla della propria vita come «corsa», in cui però non vince chi arriva primo al traguardo, ma chi rimane fedele alla chiamata ricevuta.

È dunque particolarmente significativo che il “viaggio esistenziale” di Paolo termini alla fine di un ultimo rocambolesco viaggio, il più lungo e pericoloso compiuto dall’apostolo. Condotto sotto scorta da Gerusalemme a Roma, farà esperienza del naufragio preso l’isola di Malta, fino a giungere da prigioniero a Roma, la capitale dell’Impero. Qui riuscirà a incontrare quella comunità che desiderava visitare e a cui aveva scritto la lettera che rappresenta il vertice teologico della sua esperienza di Dio. In modo estremamente significativo, la narrazione stessa di Luca negli Atti si interrompe presentando Paolo che annuncia il Vangelo mentre se ne sta tranquillamente in attesa di giudizio agli arresti domiciliari.

Come egli stesso confesserà ai cristiani di Corinto, al termine della sua esistenza, motivo di vanto per lui non saranno gli innumerevoli viaggi compiuti, bensì la propria debolezza, i propri insuccessi, quella «spina nella carne» che il Signore gli ha inviato per insegnargli che «basta la grazia» (2Cor 12). Partito alla volta di Damasco con intenti bellicosi, Paolo giungerà al termine della sua vita, anziano e prigioniero, a ringraziare Dio di averlo sostenuto nella propria povertà umana. Dietro al viaggio geografico sta un importante viaggio spirituale, così sintetizzato ai Filippesi: «Fratelli, io […] so soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù» (Fil 3,13ss.).

 
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